martedì 28 aprile 2015

UN MILIONE DI BAMBINI TRA GLI SFOLLATI DEL NEPAL


                                   


Appello al gruppo GVS di Potenza

Un milione di bambini tra gli sfollati nell'inferno del Nepal. La notizia la si è appresa da Repubblica.it che ha diffuso questo dato raccapricciante, oggetto di una corrispondenza dell'inviato in quella regione, colpita dalle scosse che continuano a susseguirsi senza interruzione da sabato.
Un milione di bambini in cerca di un tetto, di un ricovero. In cerca di cibo. Di acqua. Di un rifugio che possa minimamente assicurare loro di evitare tragedie ancor più gravi: anzitutto quella di essere esposti alle intemperie e di non sapere quando la tragedia finirà. Magari di andare vagando tra le macerie senza una meta.
Immaginiamo lo strazio, la disperazione. La paura. Senza parlare poi della situazione dei più piccoli che hanno perso i genitori e sono rimasti davvero in balia di un destino crudele.
Anche per chi ha memoria, se non diretta, di sciagure di questa portata sembra difficile rintracciare notizie del genere. Il terremoto del Belice, quello del Friuli, quello più vicino del 23 novembre dell'Irpinia e della Basilicata non mi pare abbiano provocato emergenze del genere e disastri umanitari di questa portata.
Siamo di fronte a bambini inermi, indifesi. Chi si occuperà di loro?
Alla vigilia dell'annuale giornata delle adozioni del GVS, il potente gruppo internazionale attivo presso la Parrocchia di sant'Anna a Potenza, sembra legittimo chiedersi perchè non dedicare questa giornata, di solito verso la metà giugno, a un esame concreto e ravvicinato di questa catastrofe umanitaria che coinvolge il mondo intero? Perchè il gruppo dirigente del GVS, a cominciare dal suo presidente, non avvia una serie di contatti in modo da valutare con gli organi della Farnesina la possibilità, per quanto minima, di riuscire a dare un contributo per affrontare un disastro del genere?
Peraltro il Gruppo Volontariato e Solidarietà di Sant'Anna in Basilicata non è certo ininfluente a livello internazionale e, anzi, tramite il suo Presidente, don Franco Corbo, riesce di solito a mobilitare le autorità finanche dei paesi africani, interessate al tema delle adozioni.
Questa vuole essere una proposta diretta anche al Direttore del GVS, la persona incaricata di avviare i contatti con i paesi stranieri, con capi di governo e di stato, per cercare un percorso da seguire nella organizzazione delle adozioni.
La dimensione planetaria del disastro del Nepal impone questa e molte altre riflessioni. Salvare una sola vita, riaccendere il sorriso sul volto di un solobimbo potrà essere un risultato apprezzabile.       

domenica 26 aprile 2015

SE QUESTA È DEMOCRAZIA. SE QUESTA È SOCIETÀ CIVILE



Abbiamo tutti negli occhi le immagini orrende  dell'assalto al pullman della Juve. Immagini raccapriccianti, a dir poco. Di un evento che inevitabilmente si ripeterà una, cento, mille volte, giacché lo sport è diventato una giungla. Che dire? Da dire c'è ben poco. Ma molto, molto poco.
Purtroppo gli stadi non sono luoghi destinati a ospitare una pacifica e normale competizione sportiva. Sono piuttosto il terreno in cui si manifesta la peggiore violenza cieca e irrazionale. E dove i protagonisti di questi gesti incomprensibili sono degli energumeni, delle belve umane. Dei folli, in fin dei conti che necessitano non di terapie ma del carcere duro.
Quel che è accaduto a Torino oggi è un fatto di una gravità inaudita: siamo alla guerriglia con l'attacco al pullman della Juve. Certo, non é la prima volta che accade un evento del genere. Anzi, tutto questo rientra nella scia di una maledetta tradizione, destinata a perpetuarsi fino a essere considerata un elemento addirittura inevitabile in caso di competizioni specialmente di alto livello.
Nè si tratta di un fatto collegato allo sport e alla rabbia per non essere primi, o al posto della squadra attaccata. No, guai a considerare un episodio del genere come una costante. Guai a fornire una briciola di giustificazioni a violenti  di ogni specie. Questa tendenza ci ha portati ad assistere a macabri spettacoli in cui la violenza dovrebbe essere finanche condivisa o accettata, se non proprio giustificata. 
Un mondo di pazzi. Di assassini. Un mondo di squilibrati nei confronti dei quali non ci sono nè leggi, nè regole. Non c'è nulla. 
Di fronte a scenari del genere la politica non può stare a guardare: la città va governata, gli eventi pure. Ma non soltanto con la polizia che cerca, tenta disperatamente di isolare i violenti. Ma con regole intransigenti. Con un quadro normativo appropriato. Con un'azione non limitata nel tempo
Quante volte sono stati invocati ad alta voce provvedimenti urgenti, misure straordinarie, procedure ben precise, arrivati si ma non in modo risolutivo. Purtroppo c'è da pensare che pure i delinquenti, i violenti di ogni colore, i facinorosi hanno diritto al voto. Anche la loro è democrazia, a parere di qualcuno. 

sabato 25 aprile 2015

POTENZA AMMALATA DI DISSESTO


                              
                 Dario De Luca Sindaco di Potenza (foto R.De Rosa)

Al capezzale dell'ammalato, specie se si tratta di un ammalato in condizioni gravi, accorrono in genere i medici migliori.  Questa è prassi ormai consolidata. Medici che traggono dalle loro conoscenze un bagaglio di cultura scientifica e di capacità d'intervento non indifferenti e, in ogni caso, commisurate alla gravità della malattia e alle prospettive per il paziente stesso.
È quanto accade per la situazione di Potenza, una città ormai al collasso, senza un futuro. Meno che mai dotata di un minimo di possibilità di ottenere risposte certe  prima di tutto dalla Regione Basilicata e dal Governo Renzi. Possibilmente senza dar vita a trattative logoranti e ad estenuanti faccia a faccia tra i vari big, costretti spesso a fare i conti con la loro convenienza e la loro popolarità elettorale.
Il consiglio comunale del capoluogo di Regione (la terra di Matera 2019), chiamato a discutere del cosa fare, ha visto appunto accorrere "medici" di tutto prestigio. L'asse portante della politica in Basilicata, ma non solo.
All'assemblea sono intervenuti elementi ai quali è dato di discutere a distanza ravvicinata con il Premier, con il Presidente della Repubblica finanche e con tutti gli apparati dello Stato, se ciò dovesse rendersi necessario o apparire indispensabile.
Due sottosegretari, altri due parlamentari di cui uno in rappresentanza di Forza Italia.  Oltre a Roberto Speranza reduce dalle dimissioni di capogruppo del PD alla Camera. 
Uno dei due sottosegretari, Filippo Bubbico, è  viceministro dell'Interno, il dicastero di riferimento per il Comune oltre, s'intende, all'Economia. E Bubbico sembra essere la persona capace di disegnare un percorso di allungamento del debito, in modo da consentire al Comune capoluogo di aggrapparsi al salvagente, in questi  tempi di sbarchi di naufraghi...
Quali gli scenari, quali le ipotesi? Si vedrà nel giro di alcuni giorni. Ma non è soltanto questo che conta. Anzi, forse la soluzione finanziaria del caso Potenza conta meno rispetto al dato ben più rilevante del ruolo della città espressione di una regione straricca di risorse e incapace di avere un peso commisurato a questo dato, per quanto si riferisce alla  presenza in uno scenario nazionale.
Il dissesto, a ben riflettere, è frutto di anni e anni di una gestione inadeguata. Ma non solo dei conti pubblici. Quanto delle dinamiche di un certo sviluppo, sottoposto non di rado a logiche di potere.
Oltretutto il dissesto non è piovuto dal cielo e non è una sciagura tanto inaspettata quanto grave. Al contrario. È un evento prevedibile, anche se mal calcolato e anzi sottovalutato in tutte le sue conseguenze economiche, politiche, sociali e umane. Perché no. Frutto di una concezione della politica come possesso esclusivo di chi la pratica, al riparo pertanto da qualunque  conseguenza e da ogni obbligo di sana e rigorosa amministrazione della cosa pubblica. Che non è limitata soltanto al bilancio. Appunto.
Elargizione di fondi a piene mani, denaro speso senza il benché minimo rispetto delle effettive necessità, purché ci fosse una motivazione politica. O, meglio, clientelare.
L'incipit del dissesto è riconducibile infatti al terremoto del 1980, il terremoto dell'Irpinia come è stato sempre catalogato in disprezzo del fatto che l'epicentro era anche nelle profondità delle montagne lucane. E non solo campane. Anche questo un segnale sul quale riflettere, giacché alcuni dettagli, per quanto apparentemente irrilevanti, esprimono concetti di maggior rilievo.
Tuttavia, come si apprende dalle cronache politiche più accreditate, la soluzione del caso Potenza dipende da mille variabili, riferite all'evolversi della situazione politica regionale e non solo. Finanche dal destino del Governo Renzi e dalle varie ipotesi di candidature che si affacciano all'orizzonte.
Certo, se la questione fosse affrontata per quello che è e per quello che vale sarebbe ben diverso. Forse il dissesto finirebbe per sottolineare il valore intrinseco di una città da salvare dal fallimento: comunque e in ogni caso. Una città regione (come qualcuno l'ha individuata) pensando ai riflessi possibili e al tornaconto politico derivante da una definizione del genere. Città regione finisce per dare una dimensione politica ben diversa rispetto alla semplice entità amministrativa. È un segnale che qualifica, insomma. E come tale da mettere in tutta evidenza.

lunedì 20 aprile 2015

IL PRIMO CONVEGNO DEI GRUPPI DI PREGHIERA DI PADRE PIO IN BASILICATA

Mille volti e tanti cuori aperti alla carità 

                               
          Il corteo dei Gruppi di Preghiera a Viggiano (foto di Michele Martino)

I laici, prima di tutti gli altri, parlano di Padre Pio. Uomini che vivono la sua esperienza di fede e di amore per il prossimo davvero ogni giorno, anzi ogni istante della loro vita professionale che diventa  esperienza personale e umana di alto profilo.
In occasione del primo raduno dei Gruppi di preghiera della Basilicata, tra gli interventi più toccanti quelli del direttore generale di Casa Sollievo della Sofferenza, Domenico Crupi, e del direttore sanitario, Domenico Di Bisceglie. Entrambi eredi della tradizione di San Pio, della sua fede e del suo pensiero.
L'ospedale di San Giovanni Rotondo continua a essere, infatti, una mano tesa verso l'umanità sofferente, senza distinzione di credo politico, di colore della pelle. Di razza e di provenienza dei malati ai quali Padre Pio volle che si dedicasse tutto l'impegno possibile, nel segno di una solidarietà evangelica, ispirata all'amore per il prossimo e al perdono dei peccati. Una solidarietà costruita su basi vere.
Crupi e Di Bisceglie hanno portato a Villa d'Agri una testimonianza davvero straordinaria: si è potuto comprendere in tal modo che l'ospedale di San Giovanni Rotondo era e rimane il vero miracolo di Padre Pio.
Investimenti in apparecchiature di avanguardia, capacità di gestire anche le emergenze più delicate:  una crescita proiettata verso traguardi importanti della medicina,  con metodiche d'intervento degne dei centri di maggior prestigio al mondo. Non solo in Italia.
E poi la trasparenza, il sacrificio, la corretta  gestione dei fondi. Questo le scenario in cui si muove Casa Sollievo, oggi, guardando al domani ancora più impegnativo per le sfide che attendono già l'intera struttura.
La giornata lucana dei Gruppi di preghiera, organizzata in Val d'Agri, è ormai affidata alla storia della Chiesa. Centinaia di pellegrini hanno assistito alla solenne celebrazione della messa che ha commosso tutti i presenti nella splendida cornice della basilica di Viggiano, dedicata al Madonna del Sacro Monte, protettrice della Basilicata. 
Fra Carlo Leborde, segretario dei Gruppi, all'omelia ha ricordato l'amore di Padre Pio per la Madre di Gesù, per Maria che lo accompagnava all'altare quando il santo frate celebrava la messa delle cinque del mattino. Non era solo a rivivere il sacrificio del Golgota: lui, avversario di satana, nemico del male. Mediatore tra il Cristo risorto e l'umanità delle grandi, interminabili guerre.
Ma l'omaggio più autentico delle migliaia di fedeli all'umile figlio di Pietrelcina é stato il lungo corteo che ha attraversato Viggiano per raggiungere la basilica. Una processione con tante voci, con tanti volti. Con mille esperienze. Con le suppliche alla Vergine perché l'umanità del nostro tempo non finisca nel precipizio del male. Ma riesca a frenare la corsa  delle guerre e dell'odio che distrugge gli uomini e li rende schiavi gli uni degli altri. 
Il pensiero di Padre Pio e la sua azione concreta, il suo vissuto incontrano il quotidiano, la verità del nostro tempo con migliaia di sbarchi di disperati sulle coste italiane e con tante vittime che concludono la loro vita annegando in mare. Colpa dell'odio, delle guerre, dei governi. Una dimostrazione netta delle lotte per il potere e il predominio, in grado di annientare gli uomini. L'odio che non conosce l'amore di Padre Pio per l'umanità smarrita. Per i più deboli. Per i poveri e i diseredati. Ma soprattutto per i peccatori ai quali il Frate cerca di restituire la dignità di figli di Dio.
Appuntamento in Basilicata tra un anno per il secondo raduno dei Gruppi. Frattanto un nuovo seme è stato messo a dimora in questa terra.

giovedì 16 aprile 2015

PADRE PIO, UN MIRACOLO DELLA VITA

Sabato 18 aprile, a Villa d'Agri in mattinata, e a Viggiano nel pomeriggio, il primo raduno dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio della Basilicata. 
Previsti numerosi interventi e varie iniziative volte a sottolineare il ruolo del Santo di Pietrelcina nella società del nostro tempo. 


Cinque maggio del 1956. Davanti a una enorme folla  s'inaugura  a San Giovanni Rotondo Casa Sollievo della Sofferenza, l'ospedale che Padre Pio ha voluto per dare una risposta di fede e di solidarietà all'umanità sofferente, ripercorrendo il cammino della croce e mettendo in evidenza  l'immagine del Cristo Risorto. 
Fu questo il più grande miracolo del Frate di Pietrelcina che i Gruppi di preghiera di tutto il mondo, e della Basilicata in questa circostanza, intendono far conoscere con un omaggio doveroso a Colui che è il mediatore tra il Cristo del Golgota e l'umanità percorsa dall'odio, dalle violenze, dominata dal male e dalle guerre infinite.
Padre Pio è una figura eccelsa: di sacerdote, di uomo, di santo. Il figlio del sud che ha trascorso la sua vita per lavare i peccati dell'umanità, chiuso nel suo confessionale. Con lo sguardo rivolto verso il cielo.
I Gruppi di Preghiera vogliono non solo mettere in evidenza il cammino di questo Santo del nostro tempo, quanto far conoscere il suo pensiero. Le tappe della sua vita dalle quali trae spunto la sua fede, grandiosa, ma umile e sincera in ogni momento.
Se non ci fosse stato Padre Pio? Ecco la domanda che ci poniamo. Che poniamo alla nostra coscienza di uomini, di fedeli, di amici dell'umile figlio di una terra generosa e semplice. Ma grande.
Il pensiero di Padre Pio nasce dal Vangelo. Dalla sua preghiera alla Vergine, dalla sua scelta di vita. Da quella indescrivibile visione che risale ai mesi di agosto - settembre del 1902, quando l'anima di Francesco si trovò all'improvviso tra due gruppi di uomini. Da una parte "uomini bellissimi, ricoperti di vesti bianche, candide come le nevi; da un'altra parte, uomini di orrido aspetto, vestiti di abiti neri a guisa di ombre oscure."  
Spinta a combattere contro un "formidabile e misterioso personaggio" l'anima del giovane Francesco lo affronta 
"alla fine lo supera , lo abbatte, lo vince costringendolo alla fuga." 
Scomparirono così anche quei personaggi di orrido aspetto, emblema del male.  Una vittoria senza paragoni. 
Così Padre Pio diventa il motore di una fede realmente consapevole. Realmente vissuta. Non un modo di credere nell'aldilà semplicemente e vagamente. Ma una testimonianza dell'Essere soprannaturale. 
Le sue lettere ai figli spirituali. I suoi insegnamenti. La vita e le mille persecuzioni subite sono una prova della Resurrezione. Chi credeva che nell'umile saio francescano potesse nascondersi la figura meravigliosa di questo santo dei nostri giorni? 
Padre Pio non finisce con il trapasso scandito quella notte del 22 settembre dall'invocazione: Gesù Maria. Padre Pio continua nella sua opera incessante, quel martirio che lo rende degno di professarsi figlio di San Francesco. Di essere lui stesso un miracolo della vita. 

giovedì 9 aprile 2015

VINCENZO VERRASTRO: "LA BASILICATA NON HA BISOGNO DI FILOSOFI"



La frase storica del primo Presidente della Regione a confronto con le scelte politiche e gli indirizzi di oggi.

"Primum vivere, deinde philosophari". Prima di tutto vivere, poi semmai filosofare. Ecco perché probabilmente  Verrastro disse no ai filosofi ipoteticamente alla guida della macchina pubblica. Erano tempi in cui era finanche possibile fare disquisizioni amene nell'anticamera della Presidenza del Governo regionale. Cosa che Marcello Pittella non si sognerebbe nemmeno di immaginare nell'attuale clima, con le tende dei licenziati e cassintegrati che sostano in permanenza davanti all'ingresso del massimo ente territoriale. Massimo sotto tutti gli aspetti. 
Certo, oggi la Basilicata ha bisogno di persone capaci di affrontare,  senza condizionamenti e con estrema lucidità, la difficile sfida dello sviluppo ancora inesistente, in una terra ricca di risorse ma insignificante sul piano nazionale, al punto che il premier Renzi non ha esitato a parlare di "comitatini" lucani che stupidamente si opporrebbero al moltiplicarsi delle trivelle.
La frase famosa "non abbiamo bisogno di filosofi" il  Presidente Verrastro  la pronunciò un giorno dell'inverno del 1974, rispondendo a chi gli chiedeva un lavoro e diceva di avere appunto una laurea in Filosofia.
Verrastro, insieme a Emilio Colombo, a Carmelo Azzará, a Vincenzo Marchese (tutti scomparsi ormai) rappresenta oggi, nella estrema confusione del momento, un uomo di tutt'altra stagione della politica. Questo almeno il giudizio di un altro protagonista della politica di ieri e di oggi, quel Domenico De Vivo un caposaldo della vita imprenditoriale  lucana. La saldatura vera e inequivocabile del rapporto tra economia e politica. 
Di questo rapporto De Vivo ha discusso nei giorni scorsi con Lillino Lamorte, storico presidente della Camera di Commercio di Potenza, commentando l'instabilità del momento caratterizzato da figure spesso non facilmente qualificabili, a voler usare un eufemismo. Una politica fatta di paradossi,  di scontri e contrasti inevitabili. Di scelte spesso incomprensibili. Di fughe in avanti alla conquista di posti di potere non è una politica efficace e adeguata in grado di rispondere a bisogni non certo irrilevanti.
Tra i tanti paradossi c'è il paradosso Val d'Agri a conferma di scelte incomprensibili del passato, destinate a pesare irrimediabilmente sul presente. Una valle in cui ai fiumi di petrolio del sottosuolo fa riscontro una dilagante disoccupazione, nonostante i milioni di euro delle royalties profusi ogni anno alla fine del mese di giugno. 
Cosa accade dunque in Val d'Agri? Se per un verso i problemi non accennano ad avviarsi a soluzione, sotto altri aspetti la posizione di Villa d'Agri s'impone. Villa d'Agri cresce, si sviluppa, è appetibile sostiene il sindaco Cantiani, convinto assertore della centralità di questo borgo.
"Oltre allo sviluppo edilizio, alla forte richiesta di alloggi con relativo aumento dei costi di locazione, ci sono due elementi positivi: avere 55 residenti in più in due mesi del 2015 non è irrilevante. C'è poi un incremento costante delle attività dei locali pubblici (bar, ristoranti ecc.) che lo si rileva anche dai quantitativi di rifiuti prodotti.  Questo significa che il centro attrae. Registriamo inoltre un costante spostamento di diverse persone, di tante famiglie, che hanno prima cercato dimora nei centri limitrofi e poi si sono spostati a villa d'Agri. Evidentemente la qualità della vita è diversa: verde pubblico, servizi ecc. 
C'è poi un altro particolare. Molte famiglie che si sono sistemate da decenni a Villa d'Agri provengono da varie regioni. Dalle  Marche, dagli Abruzzi, dalla Puglia. Il che ha contribuito a creare una mentalità più avanzata senza dubbio con riflessi sulla capacità imprenditoriale di molti. Con attività innovative in vari settori. 

Villa d'Agri e Marsicovetere nel Parco dell'Appennino, in una posizione di primo piano. Quali le proposte?  

"Il Parco deve avere una sua funzione. Deve essere quella forza motrice che in termini di turismo eco compatibile, di cultura e di sviluppo deve avere una forza importante. È chiaro che si deve confrontare con altre realtà presenti sul territorio.
Bisogna sottolineare un aspetto di tutto rilievo: il Parco da solo non può fare sviluppo. Come il petrolio da solo non può fare sviluppo. Da sola l'agricoltura non vasta. Bisogna fare sistema. Occorre collaborare tra i vari protagonisti, fermo restando che si tratta di sfide difficili. Ma bisogna creare un meccanismo disposto a interagire con tutte le  realtá presenti sul territorio. Altro che!"

E la Comunità del Parco quali compiti e quali funzioni deve avere? 

"La comunità deve assolvere a un ruolo di iniziativa e di controllo. Non è possibile pensare che tanti provvedimenti sono stati calati dall'alto, senza un confronto serrato. Dobbiamo recuperare terreno,  in un atteggiamento propositivo nei confronti del Parco. Il tavolo di confronto sulle esigenze delle comunità locali è indispensabile. Nonostante gli sforzi di alcuni, parlo del Presidente Totaro, non ci sono stati fatti collegiali importanti. Decisioni condivise di un certo livello. Dobbiamo uscire da una situazione di stallo."

C'è in Val d'Agri la mentalità del parco?

"La mentalità va costruita, giorno per giorno. Va inculcata ai ragazzi nelle scuole, anzitutto. L'istruzione non può avere una funzione di apprendimento mnemonico e libresco. Sarebbe sprecata."

Ci sono poi le royalties, sulle quali il dibattito non si è mai attenuato. Ma sono state davvero utilizzate al meglio? Non sono pochi i dubbi su questo argomento.

"Se le royalties vengono spese male è perché non c'è una politica complessiva della regione per i vari comparti. I comuni si vedono costretti a utilizzare questi fondi per sopperire a varie carenze. 
Ora occorrono interventi comprensoriali per aumentare l'appetibilità dei nostri territori. Lo Stato non può fare tutto. È necessario  l'intervento dei privati. Aspettiamo un salto di qualità da anni, in termini di finanza e di investimenti, che però ancora manca."

giovedì 2 aprile 2015

LA STORIA DEL NUCLEARE LUCANO, TRA SILENZI E BUGIE


                             
                   La Trisaia di Rotondella (Mt) - Foto di R.De Rosa



   La Trisaia di Rotondella, il centro nucleare sulla costa Jonica della Basilicata, è davvero un capitolo senza fine. Trasferimenti di materiale, per buona parte proveniente addirittura da Cre Casaccia, spostamenti di fusti, raffiche di fax, alcuni dei quali a firma di E. Casalino. E poi un bilancio che lascia trasparire molti dubbi e tanta incertezza sui movimenti avvenuti sin dal lontano mese di novembre del 1992. Un periodo clou per l'assetto del centro Itrec, l'impianto  per il trattamento e il riprocessamento del combustibile nucleare, cui si riferisce l'interrogazione alla Commissione europea presentata dall'europarlamentare lucano Piernicola Pedicini del Movimento cinque stelle, con lo scopo di accertare la situazione reale della bonifica in Trisaia.
In un fax dell'epoca (esattamente inviato alle 12,45 dell'11 novembre 1992) si fa riferimento alla spedizione al centro nucleare  di 53 fusti contenenti kg 1015, 076 di Uranio e kg 4,192 di Torio, per un totale, si precisa, di 11,802 tonnellate di materiale radioattivo. 
   Il punto centrale della questione consiste nella impossibilità di far luce sui trasferimenti effettivi di sostanze e sui dubbi inevitabili, a seguito di molte imprecisioni. Casuali o volute per ragioni interne? Difficile capire come stiano realmente le cose.
L'estensore del fax, infatti, precisa ai vertici della Trisaia: "Come si vede le quantità non corrispondono a quanto comunicato in quel fax. Si tratta di materiale diverso o sono state aggiunte altre quantità? La mia impressione è che si tratta di materiale diverso. QUANTO NE ARRIVERÀ ANCORA?"
   Una cortina di silenzi e di misteri pesa dunque su una delle vicende cardine nella interminabile storia del nucleare sullo Jonio lucano. 
A questo occorre poi aggiungere un dettaglio, non certo irrilevante. In quegli stessi anni, un rapporto redatto da un ufficiale dei carabinieri, a capo di una commissione di esperti incaricata di condurre degli accertamenti sulle vicende legate all'impianto Itrec di Rotondella, rilevò che la struttura non aveva mai funzionato in sintonia con le disposizioni di legge, tranne che per un brevissimo periodo quando fu diretta dall'ingegnere Raffaele Simonetta. 
   La Basilicata si trova oggi a fare i conti con un mare di problemi riguardanti l'ambiente nel suo rapporto con i cittadini, mentre l'opera di bonifica della vasta area Jonica, promessa anni fa, è ancora del tutto inesistente. Come assai improbabile è il prato verde di cui parlava il generale Carlo Jean, all'epoca ai vertici di Sogin, la società incaricata del processo di smantellamento di queste strutture in Italia.  
   Trisaia è certo un enorme macigno sulla testa dei lucani, e non solo. Ha ragione l'assessore all'ambiente della Basilicata, Aldo Berlinguer, quando invoca una reale trasparenza di Sogin nei suoi cronoprogrammi, allo stato non certamente in linea con le previsioni. 
   A Pedicini arriverà presumibilmente una risposta dalla Commissione europea. Non è da escludere una visita alla zona nucleare di cui parla il rappresentante di 5 Stelle. Ma con quali risultati, considerato peraltro che il Procuratore della Repubblica di Matera, all'epoca Nicola Pace, informò della gravità della situazione addirittura il Capo dello Stato.
Si apprende intanto che "l'Impianto Itrec Cre Trisaia" è stato ed è governato attualmente da una "Direzione Task Force" vale a dire da un nucleo di tecnici ed esperti incaricati dall'Enea di seguire gli sviluppi e il destino dell'Itrec.  Il che lascia immaginare l'importanza strategica del centro e il suo enorme peso nella vicenda Trisaia, ma non solo in una dimensione localistica. Le barre di combustibile esausto, provenienti dalla centrale di Elk -River negli Usa, sono tutt'altro che un affare di poco conto. Si parla infatti della "costruzione di un impianto di rifabbricazione di elementi di combustibile Uranio - Torio irraggiati con ossido di Torio contenente il 5% in peso di Ossido di Uranio (reattore Elk - River)." Non è tutto. In una dettagliata relazione si precisa, inoltre, che "da tale esercizio sono stati prodotti residui radioattivi a bassa e ad alta attività, solidi, liquidi e gassosi." 
Insomma in Trisaia ce n'è per tutti i gusti. Credo che a questo punto il ruolo e la figura dell'assessore all'ambiente Aldo Berlinguer, finora improntati a rigore ed efficienza, debbano riuscire ad aprire più di una breccia nel muro di silenzio che incombe sull'impianto a due passi dal mare Jonio.